Tempo stimato di lettura: 3 minuti

INTRODUZIONE

            La qualità della vita dipende in larga misura dalla comunicazione con le altre persone, poiché favorisce l’instaurarsi di relazioni soddisfacenti e produttive in qualsiasi ambito sociale. La qualità della comunicazione e delle relazioni è determinata dal livello interattivo tra individuo ed interlocutore; quest’ultimo inteso nel senso ampio del termine non racchiudibile solo ad un discorso di rapporto faccia a faccia, ma estendibile alle diverse interazioni che ogni soggetto ha quando entra in contatto con le nuove tecnologie. Ogni istituzione sociale viene contagiata da queste tecnologie mediatiche autrice di profondi cambiamenti, positivi e non, visibili nella realtà quotidiana di ogni individuo. Infatti per Marshall McLuhan (in:“Gli strumenti del comunicare”):

Quando una nuova tecnologia penetra in un ambiente sociale non può cessare di permearlo fin quando non né ha saturato ogni istituzione.

 

Il chiedersi quali effetti hanno queste nuove tecnologie non solo sulle istituzioni ma anche sugli individui è un dovere dell’uomo responsabile, soprattutto se una persona deve crescere dei figli. I genitori, ad esempio, riescono con difficoltà a gestire il rapporto dei loro figli nei confronti di un medium come la televisione ed il ruolo educativo che questa potrebbe assumere nella società contemporanea. I critici e gli scettici circa il ruolo della televisione come strumento di apprendimento sottolineano la presenza in Italia di una percentuale, pari all’8%, di bambini compresi tra i 5 e i 13 anni che passano più di cinque ore davanti al teleschermo (Camaioni L., Cannoni E.: “Patate sul divano?”). Apprendere implica una partecipazione attiva ed un impegno mentale da parte dell’individuo. Di conseguenza se si vuole che la televisione favorisca lo sviluppo del bambino è assolutamente necessario evitare la passività del telespettatore. L’abuso mediatico “Tech-Abuse” può essere favorito da un senso di solitudine e di vuoto interiore, da una carenza di relazione affettive significative, da una difficoltà a vivere la realtà in modo pieno e partecipativo.

La diffusione della tecnologia desta entusiasmi ed allarmi come ogni novità di cui non si sa ancora molto, infatti spesso le persone non sanno cosa pensare delle esperienze che si fanno in Internet. Un gruppo autorevole di scienziati della Carnegie Mellon University, istituzione che è all’avanguardia nella promozione delle nuove tecnologie, sostiene che l’uso d’Internet riduce il coinvolgimento sociale ed il benessere psicologico delle persone. Altri studiosi danno un giudizio più positivo di Internet legato all’uso di questo strumento, infatti l’uso dipende dalle aspettative delle persone in rapporto a ciò che si può fare con tale strumento. Quello che le persone fanno con e di Internet è il frutto del loro sistema di credenze e quindi diventa possibile parlare di una costruzione psicologica di Internet. Questa costruzione avviene lungo tre linee d’attività. La prima attività che si svolge è di tipo cognitivo, Internet viene inteso come un enorme serbatoio di dati. La seconda attività, di tipo sociale, riguarda l’attività di comunicazione utilizzando Internet come uno spazio di comunicazione interpersonale. Infine l’ultima di tipo culturale riguarda l’attività di mediazione, ossia Internet diventa un medium che collega l’attività umana con l’ambiente fisico e sociale (Mantovani G.: “Le tre anime della Rete”).

L’importanza della comunicazione in qualsiasi momento della nostra attività quotidiana, sottolineata anche dai numerosi corsi di formazione su questo argomento che si svolgono all’interno di diverse organizzazioni, mi ha fatto riflettere sulla necessità di approfondire l’influenza che i media possono avere nell’educazione dell’individuo senza alcun limite legato a fattori sociali, economici, cronologici….

Non ci son dubbi che la mancanza di una comunicazione soddisfacente e di buona qualità può produrre gravi conseguenze sul benessere psicologico di una persona; ma può diventare anche uno strumento efficace per alleviare le sofferenze e per determinare un incremento di sviluppo dell’individuo. Durante il periodo nazista e per la precisione nei lagher, Primo Levi (in: “I sommersi ed i salvati”) ha rilevato con estrema acutezza:

 

«Salvo casi d’incapacità patologica, comunicare si può e si deve: è un modo utile e facile di contribuire alla pace altrui e propria, perché il silenzio, l’assenza di segnali, è a sua volta un segnale, ma ambiguo, e l’ambiguità genera inquietudine e sospetto. Negare che comunicare si può è falso; si può sempre. Rifiutare di comunicare è colpa; per la comunicazione, ed in specie per quella sua forma altamente evoluta e nobile che è il linguaggio, siamo biologicamente e socialmente predisposti. Tutte le razze umane parlano; nessuna specie non umana sa parlare».

 

Uscire dal silenzio, accettare di parlare, vuol dire esporsi, correre un rischio perché significa mettere le cose in comune, procedere insieme, ma ciò non è possibile se non all’interno di un quadro comune di significati e di valori partecipati. È questo che consente l’incontro tra l’io e il tu e dà corso al dialogo significativo, altrimenti non si dà comunicazione ma una miscellanea di informazioni accumulate alla rinfusa.

4.3/5 - (6 votes)
Share This