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Le conoscenze riguardo lo sviluppo del linguaggio del bambino nella prima infanzia si concentrano in particolare sulla produzione, cioè su ciò che il bambino dice.

Quello che il bambino “sa dire” è però il risultato della maturazione di diverse competenze tra cui: l’ascolto, riuscire a discriminare i suoni, le competenze motorie e prassiche, lo sviluppo cognitivo e affettivo.
Altri fattori che concorrono a determinare lo sviluppo del linguaggio sono anche quelli genetici, ambientali, caratteriali e culturale ed, infine, l’influenza della famiglia.
Senza la presenza di determinate abilità non si avrà uno sviluppo competente del linguaggio.

È importante tenere conto del fatto che ogni bambino raggiunge le tappe principali in tempi differenti ma che queste devono essere comunque raggiunte entro determinati range di età affinché ci sia uno sviluppo armonico.
L’espressione ritardo del linguaggio indica bambini che, senza presentare particolari deficit cognitivi, uditivi e relazionali, sviluppano il linguaggio in ritardo rispetto alla media.
Infatti, si definiscono bambini parlatori tardivi quei bambini che sviluppano il linguaggio tra i 24 ed i 36 mesi, un’età in cui la maggior parte dei coetanei è invece già in grado di utilizzare il linguaggio come uno strumento privilegiato per comunicare con gli altri e per costruire conoscenze sul mondo che li circonda.
In genere, attorno ai due anni un bambino possiede un vocabolario discreto e inizia a formulare le prime frasi. Il ritardo non deve essere però definito un’etichetta diagnostica ma una condizione clinica che spesso può essere soltanto transitoria.

Essendo lo sviluppo del linguaggio una capacità che presenta variabilità tra bambino e bambino, sono stati istituiti due criteri principali sulla base dei quali è possibile parlare di ritardo:

  • A 24 mesi il bambino produce un numero di parole inferiore a 50

e/o

  • A 30 mesi non ha sviluppato la capacità di combinare due parole (non provano a formare delle piccole frasi).

Il ritardo del linguaggio è, quindi, una condizione clinica che può interessare bambini di età inferiore ai 3 anni.
Questa è infatti l’età che figura come spartiacque tra un parlatore tardivo e un bambino con un probabile disturbo del linguaggio. Infatti, dopo i 3 anni, è possibile che un bambino recuperi spontaneamente il linguaggio senza la necessità di un trattamento specifico. Questi bambini vengono anche chiamati “late bloomers”, ovvero bambini che sbocciano in ritardo e rappresentano soltanto una percentuale.
Altri, al contrario, pur migliorando piano piano, manterranno delle competenze più deboli rispetto ai coetanei, mostrando, ad esempio, confusione tra i vari suoni, difficoltà nell’organizzare un discorso o una singola frase e un vocabolario ridotto.
In alcuni bambini questo ritardo evolverà in un vero e proprio disturbo specifico del linguaggio, cioè un’alterazione nel modo in cui vengono acquisite ed elaborate le regole linguistiche. Tra questi, il disturbo persisterà anche oltre i 6 anni, tramutandosi, con l’ingresso alla scuola primaria, in un disturbo dell’apprendimento della letto-scrittura.

Esistono alcune caratteristiche a cui i genitori devono prestare attenzione:

  • 6-10 mesi: assenza di lallazione
  • 12-14 mesi: assenza o scarso utilizzo di gesti comunicativi: indicare, chiedere, mostrare
  • 18 mesi: meno di 20 parole
  • 24 mesi: meno di 50 parole
  • oltre 24 mesi: assenza di prime combinazioni di parole (brevi frasi), assenza o scarsa presenza di gioco simbolico (gioco del far finta), difficoltà nella comprensione di ordini semplici non contestuali.

Ad oggi, attraverso un accurato esame del linguaggio, osservazioni del bambino e colloqui con i genitori, gli specialisti hanno gli strumenti e la competenza per valutare se un bambino vada semplicemente monitorato o se sia utile iniziare un percorso di stimolazione.
La collaborazione dei genitori è fondamentale per aiutare il bambino a sviluppare le sue forme comunicative e espressive.
Il logopedista è la figura di riferimento che si occupa di trovare la soluzione più idonea per i diversi casi di ritardo del linguaggio di un bambino.
È, infatti, in grado di individuare le modalità di intervento più specifiche per ampliare il vocabolario e migliorare la capacità espressiva adatta al singolo caso: la logopedia permette ai genitori di avere delle soluzioni personalizzate per aiutare il proprio bambino, non soltanto con tecniche rivolte all’espressione del linguaggio, ma anche con attività di tipo manuale.
Alcune, tra le tante attività e strategie che i genitori possono utilizzare con i loro figli, sono: raccontare favole, recitare filastrocche e canzoncine, giocare con carte raffiguranti animali o altri oggetti familiari, usare frasi brevi e semplici, utilizzare domande a cui il bambino deve rispondere con vocaboli diversi dal sì o no e fare in modo che il bambino si sforzi piuttosto che anticiparlo quando vuole qualcosa per stimolarlo.

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